Le ciclabili clandestine, anche dette ciclabili popolari, sono ciclabili create da attivisti, là dove le istituzioni sono mancanti e dove il ciclista (e/o pedone) vede una necessità. Studiando il fenomeno ho scoperto che è nato in Olanda negli anni settanta e che viene internazionalmente definito guerrilla bike lane.
È tornato un pensiero, ormai comune ogni volta che affronto un tema di mobilità sostenibile: i paesi famosi per essere amici della bicicletta non lo sono nati, ci sono diventati. Già perché questo fenomeno è nato in Olanda e ad oggi quando si dice Olanda nel pensiero comune si immagina una consolidata nazione amica della bicicletta.
Lo scopo della guerrilla bike lane è la sicurezza di pedoni e ciclisti.
È dimostrare alle istituzioni che per disegnare qualche chilometro di ciclabile serve solo un po’ di tempo e di vernice, è dimostrare che si può levare un po’ di spazio ai motori a favore dell’utenza debole della strada.
È una tecnica usata in tutto il mondo, in tutte le città dove gli attivisti hanno avuto il coraggio di prendersi il loro spazio: ci sono esempi di ciclabili clandestine a New York, Città del Messico, Toronto… I casi più famosi nel nostro paese sono a Milano e a Roma.
Eroi o delinquenti?
È giusto farsi giustizia da soli e costruirsi le strade oppure questi attivisti sono solo delinquenti comuni? A questa domanda non ho ancora trovato una risposta.
Da una parte mi viene da pensare che se facessimo così per ogni cosa, vivremmo nell’anarchia (sorvoliamo sulla reale situazione di questo paese per il tempo di questo post), dall’altra sono una fautrice convinta della contestualizzazione. Contestualizziamo.
Lo scopo è nobile, perché è la sicurezza per strada. Il danno al bene comune può non essere calcolato come un danno: le linee non sono sempre dritte, ma molte di queste ciclabili sono poi state adottate dalle amministrazioni locali come veri e propri suggerimenti di chi ne sa di più, ossia il ciclista urbano.
Tra l’altro ci vuole una buona dose di coraggio per fare queste cose: si rischia l’arresto o, comunque, multe molto salate.
Rimane la condizione di illegalità e in caso di incidente è il caos, perché sei su una corsia che non esiste. Ma, visto che lo scopo è la sicurezza del ciclista (e del pedone) voglio credere che questa rimanga un’ipotesi assai remota.
Sempre studiando sono inciampata in due notizie interessanti.
La prima ed è il docufilm Do the right line di Claudia Cipriani (2018): la regista milanese racconta proprio il dietro le quinte dell’attivismo.
La seconda ancora più datata (2013/2014) mi ha fatto molto ridere (se non ci fosse da piangere): in un incrocio pericoloso di Livorno, visto che l’amministrazione non faceva, gli attivisti hanno scritto stoppe sull’asfalto (stop in livornese). Dopo un anno di egregio servizio (la segnaletica anche se non ufficiale, veniva rispettata e di conseguenza gli incidenti diminuiti) non si sa come mai l’amministrazione ha deciso di cancellare la scritta, non per ufficializzarla, solo per cancellarla: gli attivisti non si sono fatti attendere scrivendo ari-stoppe sull’asfalto. Non ho idea se la scritta sia ancora lì non ho trovato altre notizie in rete, sinceramente spero di sì.
Di fronte ad una tale evidenza dei fatti, sono molte le domande che mi faccio: manca una scritta e ci sono un sacco di incidenti, spunta la scritta e la gente inizia a fermarsi, la cancellano e dopo poche ore avviene un altro incidente.
La prima, inevitabile, è ma perché la gente non riesce ad autoregolamentarsi?
La seconda è ma perché le amministrazioni sono così pigre anche nel decidere, di fronte all’evidenza, di tracciare qualche linea e simbolo sull’asfalto?
La terza è si può realmente considerare tutto questo illegale o addirittura criminale?
Non riesco ad avere un’idea così chiara in merito. E neanche me la sento di esprimere giudizi o critiche. Se penso allo scopo di questi attivisti, se penso che lo fanno anche per me, che sono una ciclista urbana tra le tante, non riesco ad etichettarli come delinquenti.
Ma è possibile che sia questa l’unica strada per farci ascoltare dalle nostre città? Possibile rischiare così la Vita solo perché abbiamo deciso di spostarci in bici?
La Ciclista Ignorante è un progetto che ambisce a diffondere e condividere un nuovo stile di Vita, basato sull’etica, la trasparenza, la contaminazione di idee, un progetto in cui la bicicletta è sempre stato un mezzo e mai il fine. Lo scopo del Blog e di tutto l’universo connesso è incoraggiare le persone che inciampano nei miei contenuti, con uno sguardo attento a chi si sente più fragile, discriminatə, indifesə, impauritə.
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La finalità è positiva, e la “disobbedienza” è espressa in modo civile. E’ vero che nessuno si può fare le regole da solo ma è pur vero che non è giusto sopportare un apparato amministrativo/politico immobile. Non ci vedo niente di male in questo tipo di iniziative.
Sono giunta alle tue conclusioni proprio scrivendo questo post ?