Mi chiamo Adriana, ho 40 anni e faccio la meccanica di biciclette a Genova e stanotte non dormo.
In Italia stiamo vivendo un momento drammatico e difficile, per tutti, me ne rendo perfettamente conto. Non sappiamo quando tutto questo finirà, non abbiamo idea di come saremo dopo. Tutto sta cambiando più velocemente di quanto immaginiamo, non ci sentiamo pronti e probabilmente non lo siamo.
Fin da subito mi sono chiesta se stare chiusa o no, anche quando non era imposto per legge. Mi sono domandata quanto fosse giusto rispetto a quelle categorie costrette invece alla chiusura. Riflettevo se fare quarantena volontaria o no, per quanto tra la dimensione della mia ciclofficina e il volume di lavoro, non creavo alcun tipo di assembramento o rischio per le persone.
Finchè anche io sono stata coinvolta: per decreto anche le attività come la mia devono stare chiuse.
Lì per lì non ho capito la gravità di questa cosa, l’ho accettata di buon grado, sono andata a fare una spesa un po’ più sostanziosa e ho riorganizzato il mio lavoro.
Ho il blog, i canali social, ho aperto un podcast. Volevo approfittare del tempo per riordinare diverso materiale che aspetta da mesi e, anche, riordinarmi io. Lì per lì non ci ho badato perché, dopo un inizio che sembrava indifferente a quanto stava accadendo, è arrivato l’inevitabile calo.
Chi può lavora da casa, chi ha preso ferie, chi si ritrovata in cassa integrazione. Per forza di cosa le persone escono meno. Oltre a tutti i dubbi, nati e risolti, sull’attività fisica (si può fare, non si può fare, come si può fare…).
Poi però leggo che meccanici di auto e moto possono rimanere aperti. Che le edicole possono rimanere aperte. I giornali sono visti con un bene primario, nell’epoca di internet. Da qualche parte ho letto che persino le erboristerie possono rimanere aperte, non so in effetti se è vero, per quale decreto era valido.
Insomma, ad un certo punto mi sono domandata perché la mia categoria per lo Stato non esiste, perché non abbiamo pari diritti e dignità rispetto a chi aggiusta auto e moto.
Sia chiaro non ce l’ho con nessuno, nessuno è partecipe attivo di questa vicenda, stiamo tutti subendo le scelte dello Stato. Stato che non sa che le persone usano la bici per spostarsi e anche per lavorare, uno Stato che ignora che la bicicletta non è solo divertimento.
Tra l’altro stasera, assistendo all’ultima conferenza stampa di Conte, notavo come nessun giornalista ha chiesto di questa cosa, si è però parlato dello sciopero dei benzinai. Benzina, auto, mezzi a motore, la solita mobilità nella testa di tutti.
Siamo immersi in questa cultura che ignora completamente chi pedala. Lo sapevo, basta vedere le politiche sulla ciclabilità e sulla limitazione del mezzo privato. Lo sapevo, ma stasera fa più male.
Mi sono domandata se avesse senso scrivere questo post, ora, in piena emergenza. Non amo fare polemiche, non amo cavalcare l’onda e parlare dell’argomento del momento, non fa proprio per me. Questa volta non riesco ad esimermi, non riesco a stasera zitta e aspettare un momento migliore. Perché ora è il momento migliore, ora serve parlare.
Ieri sera mi ha chiamato un ragazzo, un biker, bici con il cambio posteriore andato. Lui oggi lavora, consegna la spesa a domicilio. Mi ha colpito molto questo evento perché siamo a Genova, comunemente considerata una città dove la gente non pedala (so che non è vero), ma dove ci sono meno ciclisti di Milano, Torino, Bologna, Roma, Ferrara. Come fanno in queste città a spostarsi in questi giorni?
Perché è vero che dobbiamo rimanere a casa, ma ricordiamoci che non tutti possono lavorare in smartworking (i commessi dei supermercati dove ormai facciamo la coda per entrare, ad esempio), non tutti sono fermi a casa per ferie forzate (per fortuna). Purtroppo, perché vista la situazione il purtroppo è d’obbligo, c’è chi deve andare a lavorare e chi lo fa anche in bici.
Io, normalmente, vado a lavorare in bicicletta, è il mio unico mezzo di trasporto. Come me ci sono migliaia di persone nel Paese. Qualcuno ha decretato che siamo troppo poche e che quindi le ciclofficine possono rimanere chiuse.
Neanche esiste la categoria ciclofficina secondo la classificazione Ateco, siamo assimilati alle attrezzature sportive. Io lo vorrei un codice tutto nostro, che ci identifichi e non mi frega se con la scusa lo Stato eroga nuove disposizioni e obblighi. Io vorrei essere realmente riconosciuta negli oneri ma anche nei diritti.
I miei clienti usano la bici per svagarsi, per andare al lavoro, per lavorare. Al pari di chi si muove in auto e scooter, hanno diritto di sapere che in caso di necessità possono venire in ciclofficina.
La legge dice che devo stare a casa. Il codice della strada dice che devo stare sulla destra. Come ho raccontato tante volte, io non ci sto mai sulla destra perché ne va della mia sicurezza stradale. Prima dello stop forzato due clienti volevano passare in ciclofficina e sono stata io stessa a dirgli che se non era un’urgenza dovevano rimanere a casa. Ancor più che farci aprire tutti, propenderei perché gli altri chiudessero, per farsì che questo delirio finisca il prima possibile.
Quindi rimango a casa, a meno che, come è successo ieri, qualcuno non abbia bisogno della sua bici per lavorare o andare al lavoro. Per la violazione del decreto rischio molto, hanno inasprito le sanzioni, ma come faccio a lasciare a piedi qualcuno che ha bisogno del suo mezzo di trasporto?
Stanotte sono molto triste, per tutto, non solo per il mio lavoro. Il mio Paese, che amo follemente, è in ginocchio. Se tutto intorno a te crolla non puoi rimanere indifferente e, da un certo punto di vista, parlare della dignità del mio lavoro mi pare superfluo.
Ma continuo a pensare a quel biker preoccupato di non poter lavorare oggi. Quel biker che mi ha raccontato che sta consegnando tantissime spese a domiciclio. Siamo tutti interconnessi e so che non è tutto bianco o nero, per questo ho deciso che se servirà me la rischierò. Non si tratta solo di andare a lavorare.
Non so realmente come chiudere questo post. Temo che non passi il messaggio giusto. Il mio intento non è fare polemica sulle misure adottate dal Governo, sulle restrizioni o sulle misure economiche.
Sono solo triste nel constatare quanto ancora la bicicletta nel mio Paese non esista. Probabilmente non lo avevo capito, non a questo livello.