Prima di inoltrarmi nel vivo dell’argomento, ci tengo moltissimo a condividere un mio modo di pensare, spesso considerato scomodo: si parla tanto di educare ə ciclista, o l’automobilista, o ə motociclista, o… metteteci chi volete che la questione non cambia, c’è sempre qualcunə che si sente dalla parte del giusto e che punta il dito contro l’altra parte. Vale per la mobilità sostenibile come per qualunque argomento vi stia passando per la testa mentre leggete.
Innanzitutto siamo persone, non siamo il mezzo che usiamo per spostarci come non siamo il lavoro che svolgiamo ma, soprattutto, il concetto di giusto e sbagliato è soggettivo e mutabile. La divisione netta a cui tanto ci aggrappiamo non è poi così netta: invece di pensare ad educare l’altra parte dovremmo fermarci a pensare a quali sono le nostre responsabilità e chiederci cosa posso fare io per cambiare questa situazione?
Perché è facile difendersi dietro il fatto che è tutto più grande di noi, che le nostre azioni sono troppe piccole rispetto alla situazione generale, ma il mare è fatto di gocce, ogni grande cambiamento parte dal piccolo, se aspettiamo sempre che sia l’altra parte a muoversi senza agire in prima persona, finisce come nella famosa storiella Ognuno, Qualcuno, Ciascuno e Nessuno (di cui ormai si ignorano origine e autore):
Questa è la storia di quattro persone, chiamate ognuno, qualcuno, ciascuno e nessuno. C’era un lavoro importante da fare e ognuno era sicuro che qualcuno lo avrebbe fatto. Ciascuno poteva farlo, ma nessuno lo fece, qualcuno si arrabbiò perché era il lavoro di ognuno. Ognuno pensò che ciascuno potesse farlo, ma nessuno capì che ognuno l’avrebbe fatto. Finì che ognuno incolpò qualcuno perché nessuno fece ciò che ciascuno avrebbe potuto fare.
Nessuna città nasce amica delle biciclette
Non mi ricordo neanche più quando ho sentito questa frase per la prima volta, ma ricordo chiaramente che si parlava di Amsterdam, una delle città europee più famose per l’uso della bicicletta, la città che ad oggi ha un grosso problema di traffico delle bici perché ce ne sono troppe (questo per sottolineare che nessuna condizione è in assoluto positiva o negativa).
Non conoscendone la storia avevo l’idea che Amsterdam fosse da sempre come la conosciamo: una città dove circolano più bici che automobili. Pensavo che з olandesi amassero andare in bici a prescindere, che fosse nel loro dna.
Ci piace crederlo, soprattutto quando si parla di cambiare le cose, ci piace credere che le città europee che si distinguono in ambito mobilità sostenibile siano così naturalmente, ma la verità è ben altra.
Amsterdam, come Copenaghen, Vienna, Berlino e, più recentemente, Parigi e Oslo (giusto per citare qualche esempio dei più famosi, ma ce ne sono molti altri), non sono nate ma diventate città amiche della bicicletta, grazie ad una classe politica coraggiosa e l’attivismo dal basso di chi voleva città più sicure.

È molto importante ricordarsi che città a misura di bici sono città più sicure per tutte e tutti.
Non è una questione di dna o di amore per la bici, ma di convenienza e praticità: le amministrazioni delle cosiddette città bike-friendly hanno reso il ciclismo urbano economico, vantaggioso e veloce, e oneroso e scomodo l’uso dell’auto, hanno puntato sul trasporto pubblico e modificato l’urbanizzazione per tornare ad avere spazi per le persone e non per le automobili.
Quando si guarda alla storia di Amsterdam si guarda sempre alla grande crisi petrolifera degli anni ‘70 come se fosse l’unica causa del cambiamento, ma quest’ultimo è stato l’effetto di una serie di azioni precedenti culminate in quella crisi.
Ne è dimostrazione la recente pandemia: in Italia sono tantissime le persone che hanno deciso di utilizzare la bicicletta per paura di spostarsi con i mezzi pubblici, per necessità di spostarsi in città più velocemente ed economicamente, ma passato il momento più buio, piano piano il traffico non solo è tornato come prima, ma sta peggiorando.
Nel corso degli anni, la mortalità per incidente stradale è stata segnata da una forte riduzione, ma dal 2014 si registra un andamento oscillante, con una media di 9 vittime al giorno, e una riduzione nel 2020 per fattori esogeni.
Noi Italia 2023 – Istat
Le poche politiche finalizzate nel persuadere le persone ad un utilizzo dell’auto più consapevole sono evaporate. E attualmente in Italia stiamo assistendo a nuove e pericolose modifiche del codice della strada, continuando a mantenere una visione autocentrica delle città.
Responsabilità personale o politica?
Ho iniziato affermando che ognunə dovrebbe chiedersi come può agire in prima persona ed ho proseguito parlando di scelte politiche: la responsabilità è personale o politica?
Come si suol dire, una cosa non esclude l’altra: l’oggettiva necessità di politiche finalizzate realmente alla sicurezza, non esclude che ogni persona possa assumersi la propria responsabilità.
In primis: chi guida un qualsiasi mezzo in strada deve rendersi conto che non è l’unicə che guida un mezzo in strada. In pratica questa consapevolezza si traduce rispettando i limiti di velocità.
La stragrande maggioranza della gente è convinta che i limiti di velocità siano solo un mezzo per le istituzioni di fare cassa: ma come fai a mettere il limite dei 50 in questa strada, è dritta, non c’è nessunə, impossibile rispettare i 50. L’abbiamo pensato tuttə almeno una volta nella vita.
Quella strada dritta dove passa? Sei su una statale che attraversa un centro abitato o in una zona residenziale? Vicino c’è una scuola? Ci sono palazzi, marciapiedi, c’è utenza pedonale? In sintesi chi altrə oltre te percorre quella strada?
Ogni volta che siamo alla guida vediamo l’altrə come un ostacolo tra noi e la nostra destinazione e l’urbanistica, le regole, la promozione continua e eccessiva dell’ultimo modello di suv ovviamente non aiutano.

I limiti di velocità salvano la vita. Il tanto criticato limite dei 30 km/h salva vite!
Non è un’invenzione recente, come purtroppo ho sentito con le mie stesse orecchie: ho iniziato a pedalare nel 2014 e, già allora, l’Italia era indietro di 25 anni sulle buone pratiche di mobilità sostenibile (fonte Fiab). Questo vuol dire che l’importanza del limite dei 30 km/h è consolidata e dimostrata.
Se ne sentiamo tanto parlare solo ora è perché l’attivismo dal basso è arrivato alle orecchie della politica: il mare è fatto di gocce e in mancanza di una classe politica illuminata e coraggiosa continuare a ripetere e pretendere (attivarsi) rimane l’unica strada.
Ed ecco il secondo importante passo da fare: informarsi, formarsi, studiare. Invece che perdere tempo a puntare il dito, non sarebbe più produttivo farsi spiegare l’altro punto di vista?
Perché c’è chi insiste tanto su certe misure? Perché nonostante l’attuale e oggettiva pericolosità sulle nostre strade, c’è chi si ostina a utilizzare la bicicletta quotidianamente?
Abbiamo esempi in tutta Europa sull’importanza dei 30 km/h, ma anche su quali misure non attuare, come ad esempio provare ogni due per tre ad obbligare l’uso del casco, dell’assicurazione e della targa, togliere ciclabili, realizzare ciclopedonali. Possiamo copiare le buone pratiche di mobilità sostenibile saltando errori e arrivando direttamente al risultato finale.
Per comprendere l’importanza delle pratiche di mobilità sostenibile bisogna scendere dal proprio pseudo piedistallo e ammettere che di certi argomenti non ne sappiamo nulla.
Quando lavoravo ancora come dipendente, il laboratorio era in centro città a Genova, ho iniziato a lavorare lì nel 2008, ma mi sono resa conto io stessa del limite dei 30 km/h solo dopo che ho adottato la bicicletta come mezzo di trasporto. E ricordo episodi in ciclofficina, dieci anno dopo, di clienti convintз che in centro il limite fosse recente.
Questo dimostra due cose, una più grave dell’altra:
- non osserviamo il mondo che ci circonda
- inutile mettere limiti di velocità se poi non si fanno rispettare
Ed aggiungo: inutile mettere limiti di velocità se poi si fanno rispettare solo attraverso una multa notificata a casa mesi dopo, nel frattempo quella persona ha continuato a guidare in quel modo e chissà quante persone ha messo in pericolo, oltre sé stessə.
La situazione pandemica e le misure per contenerla hanno influenzato l’andamento dell’incidentalità stradale e della mobilità anche nel 2021. Rispetto al 2020 gli incidenti e gli infortunati diminuiscono nei mesi di gennaio e febbraio e aumentano in misura consistente nel periodo marzo-giugno, per tornare a livelli molto vicini al periodo pre-pandemia nella seconda parte dell’anno.
Fonte Istat
Nel 2021 sono 2.875 i morti in incidenti stradali in Italia (+20,0% rispetto all’anno precedente), 204.728 i feriti (+28,6%) e 151.875 gli incidenti stradali (+28,4%), valori tutti in crescita rispetto al 2020 ma ancora in diminuzione nel confronto con il 2019 (-9,4% vittime, -15,2% feriti e -11,8% incidenti). Le vittime entro le 24 ore sono 2.397 mentre si contano 478 deceduti dal secondo al trentesimo giorno dall’evento.
Le vittime aumentano tra tutti gli utenti della strada rispetto al 2020, fatta eccezione per gli occupanti di autocarri, e diminuiscono rispetto al 2019. Se ne contano 169 tra gli utenti su mezzi pesanti (+44,4% e +23,4% rispetto a 2020 e 2019), 695 tra i motociclisti (+18,6%; -0,4%), 471 tra i pedoni (+15,2%; -11,8%), 1.192 tra gli occupanti di autovetture (+17,1%; -15,5), 67 tra i ciclomotoristi (+13,6%; -23,9%). Per biciclette e monopattini elettrici si registrano 229 vittime (+30,1% rispetto al 2020 e –9,5% rispetto al 2019).
Con riferimento ai soli monopattini elettrici (conteggiati dal 2020), gli incidenti stradali che li vedono coinvolti, registrati in tutte le province italiane, passano da 564 del 2020 a 2.101, i feriti da 518 a 1.980, mentre i morti (entro 30 giorni) sono 9, più un pedone deceduto.
Tra i comportamenti errati alla guida i più frequenti si confermano la distrazione, il mancato rispetto della precedenza e la velocità troppo elevata. I tre gruppi costituiscono complessivamente il 39,7% dei casi (78.477), valore stabile nel tempo.
Il nostro ruolo nella società
A leggere questi dati possiamo fare due cose: scegliere a chi dare la colpa, puntare il dito sul capro espiatorio di turno che più ci ispira (sarebbe facile prendersela solo con chi usa i monopattini vero?).
Oppure sostituire alla parola colpa la parola responsabilità. Il comportamento scorretto di un’altra persona non giustifica il proprio, l’assenza di una politica forte in ambito mobilità non esonera dalla consapevolezza che il proprio atteggiamento alla guida trasforma le nostre città in luoghi più o meno sicuri.
Per scrivere questo articolo ho studiato non so quante statistiche e l’idea era fare un discorso pieno di numeri e fonti, poi ha vinto la narrazione del buon senso, quello che dobbiamo ritrovare.
Dobbiamo aver chiaro quale è il nostro ruolo nella società che abitiamo e che le nostre azioni producono effetti su chi ci circonda. Ovviamente vale anche il discorso inverso, ma ad aspettare che siano sempre з altrз a fare il primo passo finirà che ognuno incolperà qualcuno perché nessuno farà ciò che ciascuno dovrebbe fare.