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La sfida di Oslo

Traduzione di un articolo su Oslo direttamente dal Guardian, ma con l'inglese non vado d'accordo.

Dovessi dirvi, non so perché ho questa fissa su Oslo. La studio da un po’, vorrei andarci in vacanza, e inizio a credere che in qualche vita precedente fossi una osloenser (abitante di Oslo… ho dovuto gugolare ovviamente).

La prima volta che ho sentito parlare di questa città e che mi sono appassionata, è stato in occasione del primo post che scrissi sulla mobilità sostenibile. E da quel momento è stato un susseguirsi di ricerche. Mi ha affascinato fin da subito la sfida che si è posta l’amministrazione di Oslo: togliere le auto dal centro, in modo permanente.

Non mi piace scrivere tanto per scrivere e non mi piace scrivere cose che hanno già scritto altri, e su Oslo e questa sua politica green ne hanno già scritto in molti. Sono inciampata in due articoli in particolare: uno de Il Post  e uno de The Guardian.

In realtà Il Post traduce in parte quello del Guardian, ma ho deciso di andare alla fonte e per me è stata una sfida notevole, visto che non vado molto d’accordo con l’Inglese: ho impiegato circa due ore a tradurre l’articolo, con buon aiuto di google translate.

Quello che segue non è la mera traduzione di un articolo scritto da altri, ma sono le mie personali riflessioni in base a quello che ho letto e a quello che vivo ogni giorno, come ciclista urbana, in una città e in uno Stato, spesso accusato (e colpevole) di non comprendere che potenziale sia la bicicletta come mezzo di trasporto.

Una prima importante conclusione è: tutto il mondo è paese.

Neanche i cittadini di Oslo sono proprio tutti contenti delle politiche che l’amministrazione sta portando avanti e anche gli stessi commercianti sono, in parte, contrari. Le argomentazioni?

Le stesse che sentiamo ogni qual volta si parla di chiudere una strada al traffico o di fare una zona pedonale: che si rischia di far morire i negozi, che già ci sono pochi parcheggi e figurarsi levarne altri, che non tutte le città sono per le bici, etc etc etc…

Ad Oslo hanno, anche, un’argomentazione di più: sono la città con più veicoli elettrici al mondo in proporzione al numero di abitanti e si sa, l’auto elettrica fa già così ecologico che non si capisce come mai questa lotta contro le auto.

Nonostante questo, e nonostante abbiamo creato sistemi di riscaldamento da energia rinnovabile, il 61% dell’anidride carbonica prodotta in città è causata dai trasporti, di cui il 39% da mezzi privati. E così, a lungo andare, non può bastare: ecco perché hanno deciso di chiudere alle auto il Ring 1 (l’equivalente del centro storico).

Citando il Guardian seemed like an easy win:

L’88,1 per cento dei residenti non possiede comunque un’auto, il 64 per cento si sposta con i mezzi pubblici, il 22 per cento a piedi e il 7 per cento in bicicletta. Proibire tutte le automobili comprese quelle ibride o elettriche sembrava una «vittoria facile»

Invece politici dell’opposizione e in parte privati e commercianti, sono insorti contro questa decisione, e come scrivevo prima le argomentazioni sono sempre le stesse, nonostante esistano città nel mondo e in Europa che hanno sfatato certe convinzioni: una su tutte che le strade chiuse al traffico e le zone pedonali uccidano l’economia.

Quello che però ho percepito leggendo, è che non si è instaurato un pugno di ferro tra i favorevoli e i contrari, ma bensì un dialogo dove ogni parte ascoltando l’altro faceva un passo verso un punto comune.

Diciamocelo, questo è quello che io ho voluto vedere e non so se nei fatti è stato così. Quel che conta è che dopo un anno di trattative si è raggiunto un primo importante traguardo: non vietiamo le auto in centro, leviamo i parcheggi. Quello che per molti è stato interpretato come un dietrofront, in realtà è solo un’altra strada per arrivare allo stesso scopo.

Sono stati tolti i parcheggi in strada e sono stati lasciati alcuni punti strategici dove lasciare l’auto. Partendo con sei aree pilota, si son prefissati lo scopo di dimostrare che chiudendo le strade alle auto, le città diventano più vivibili e vitali.

L’unico modo per fare comprendere certe cose e soprattutto placare le paure, anche legittime, dei commercianti, è la sperimentazione: i fatti parlano più di mille studi e parole (si crede sempre che quello che funziona da altre parti non vada bene per le nostre città).

L’associazione dei commercianti e i privati hanno chiesto tempo per abituarsi ai nuovi cambiamenti e l’amministrazione ha acconsentito, cercando una strategia più dolce per arrivare allo stesso scopo: chiudere il centro alle auto.

Oslo prima e dopo le riforme sulla mobilita
Prima e dopo: piste ciclabili al posto dei parcheggi. (Gentile concessione: Agenzia per l’ambiente urbano, città di Oslo)

La cosa fondamentale è che comunque si sta agendo.

Si stanno facendo cose e in base a quello che succederà si potrà sempre aggiustare il tiro.

Senza dialogo, senza un atteggiamento aperto da parte di tutti, non si costruisce niente.

Se non si comprende che certe scelte non sono fatte contro le auto a prescindere, ma in un’ottica più a lungo termine di vivibilità delle nostre città, non si va da nessuna parte.

Fin quando continueremo a pensare che una pista ciclabile leva spazio alle auto, senza guardare che quella pista ciclabile rende più sicuro per le bici muoversi, che più bici significano meno auto meno parcheggi meno traffico, città più pulite (e potrei continuare ancora per molto)… ecco, finché non si ragionerà a lungo termine e non solo per il proprio orticello, siamo destinati a fallire comunque, perché stiamo rendendo le nostre città invivibili.

È facile dare sempre contro all’altro, ma in realtà dobbiamo tutti muoverci per primi.

Non sto dicendo che dobbiamo andare tutti in bicicletta (anche se non sarebbe male).

Quello che intendo è che, prima di insorgere contro un cambiamento, va analizzato e va cercata di capire la motivazione che sta dietro a quell’idea: perché chiudono una strada? Sono proprio sicuro che senza macchina fin lì non ci arrivo? I mezzi pubblici non sono adeguati? Come posso fare per migliorare il trasporto pubblico io singolo cittadino? Pensate se ognuno di noi ragionasse così.

E no, non vale dire tanto l’altro non fa niente: guardare a cosa fanno gli altri, soprattutto quando non fanno, non porta nessun risultato.

In fondo Gandhi diceva che dobbiamo essere noi per primi il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo. È così, in ogni ambito.

Concludo con quest’ultima osservazione.

Consapevoli che il problema non sono solo le auto private, ma i trasporti in generale, parallelamente l’amministrazione di Oslo ha avviato una sperimentazione in collaborazione con DHL, tramite micro terminal nelle zone pedonali e l’uso di bici elettriche: lo scopo è diminuire il traffico e l’inquinamento causato dei corrieri. La sperimentazione è stata avviata a giugno in una regione ed è la prima di questo genere.

Ci vuole tempo per creare un cambiamento e per farlo bisogna sperimentare: viviamo in un’epoca dove reperire informazioni è facile ed il confronto è possibile in tutto il mondo e a tutti i livelli. C’è chi ha agito prima di noi, fornendoci anche gli errori da non fare.

Quali altre scuse abbiamo per continuare a vivere in città soffocate da auto e scooter?

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