Se apri Google Trends ogni ricerca, in Italia, legata alla ciclabilità e al ciclismo urbano va vuota, se cerchi la parola ciclismo escono fuori solo argomenti sportivi. Nel nostro Paese la bicicletta è considerata ancora un mezzo per fare sport o le pedalate della domenica: l’idea della bici come mezzo di trasporto e/o di lavoro è ben lontano dalla mente delle persone. E come si suol dire: il pesce puzza dalla testa.
So di essere ripetitiva, ma manca la cultura e la cultura non si fa disegnando di notte strisce gialle o rosse per terra con il simbolo della bicicletta. Cultura è dialogo, informazione, confronto, scambio e sperimentazione.
Non ho neanche cominciato a scrivere che mi sono già infervorata. Faccio un passo indietro e ricomincio e, a proposito di ripetizioni, la consueta premessa: quanto segue è la mia opinione personale, frutto della mia esperienza di ciclista urbana. Non citerò articoli del codice della strada e andrò a memoria per quanto ho studiato in questi anni. Se sono presenti imprecisioni fatemele notare e correggo.
Nel nostro Paese la maggior parte delle persone non conosce la differenza tra le corsie ciclabili e le piste ciclabili.
Io stessa ho fatto confusione, io che pedalo tutti i giorni e sono ciclista urbana da un po’, figuriamoci chi ha preso la patente anni fa senza più un aggiornamento. Ecco cosa servirebbe tra le tante cose: corsi di aggiornamento periodici sul codice della strada, anche se le vere innovazioni mancano ancora e chissà per quanto.
Una proposta del genere crea subito malcontento, perché ovviamente nessuno vuole pagare per un corso del genere, io per prima che, pur avendo la patente, non guido da anni. E da questo spunto possiamo già dire una cosa molto importante: quanto sia importante lo Stato in certi ambiti e quanto sia assente. Aggiornamenti periodici dovrebbero essere a carico dello Stato, perché la sicurezza stradale dovrebbe essere una priorità dello Stato. Dovrebbe.
Abbiamo cominciato con una bella divagazione sul tema e una buona dose di utopia. Credo l’articolo ne sarà pieno per come è la situazione in Italia. Dicevo piste ciclabili e corsie ciclabili.
Spiegazione da ignorante: le corsie ciclabili sono quelle strisce rosse che avete visto spuntare in molte città negli ultimi mesi. Indicano che quella strada è a priorità ciclistica, o meglio, da quella strada transitano biciclette, ossia l’utenza debole della strada che dovrebbe sempre avere la priorità in strada. L’uso del condizionale è d’obbligo.
Realizzare solo delle strisce rosse non serve se non si obbliga ai 30 km/h (non solo mettendo un cartello con il limite di velocità, ma facendolo rispettare veramente) e se non si fa informazione: sulle corsie ciclabili possono transitare tutti i mezzi ma non possono sostare, la bicicletta non è obbligata a stare esattamente sulla corsia ciclabile anche perché spesso fatte proprio male, insomma quella striscia indica che lì passano biciclette e bisogna tuttə andare piano.
Le piste ciclabili sono quelle gialle, il ciclista è obbligato all’uso solo se in sede separata, in generale auto e altri mezzi non devono transitarci né sostarci. Le piste ciclabili sono indicate dal classico cartello tondo con la bici bianca su sfondo blu. Se il cartello è misto, bici con omino, è una ciclopedonale e il ciclista non è obbligato a utilizzarla. Qui auto e altri mezzi si arrabbiano e lo trovo paradossale: Voi mezzi a motore non volete le biciclette in strada perché rallentano la Vostra corsa, spesso eccessiva, e noi biciclette dovremmo secondo Voi condividere lo spazio con pedoni obbligandoci ad andare al loro passo. Tutto questo perché dovete correre?
In Italia le piste ciclabili sono realizzate malissimo, le corsie ciclabili anche peggio.
Queste ultime sono lembi di strada al limite delle normative, 80 cm, all’estrema destra, almeno a Genova: se dovessi effettivamente pedalarci sopra, a parte il susseguirsi di buche e tombini, rischierei portiere in faccia ogni due minuti o l’incontro ravvicinato con bidoni della spazzatura spesso riposizionati male. Sorvolo sul fatto che per moltə le case avanzate, ossia quello spazio ai semafori davanti alle macchine dipinto di rosso riservato alle biciclette, sia solo spazio sprecato quindi non rispettato.
Le piste ciclabili sono anche peggio, perché obbligano ad altre metrature, quindi nella maggior parte dei casi vengono realizzate dove c’è spazio, ossia dove non serve, non unendo effettivamente un punto di interesse ad un altro, anzi molte finiscono nel vuoto.
E alla fine cosa succede? Che il ciclista non usa le infrastrutture a sua disposizione perché fanno pena o sono pericolose, l’automobilista non valuta questa cosa e vede solo che la bici non sta a destra, e si crea un cortocircuito in cui la strada se la litigano gli utenti e le istituzioni non fanno niente (fino alla prossima elezione). Lo so, sono polemica ma l’argomento mi fa letteralmente uscire di testa perché non c’è la reale volontà di cambiare, ma soprattutto non ci si rende conto che il grosso problema delle nostre città è la velocità.
Ogni tanto spuntano articoli dei comuni amici della bicicletta in Italia, dove l’unico parametro di valutazione sono i chilometri di piste ciclabili: senza senso. Non si valutano effettivamente le infrastrutture, come sono fatte queste ciclabili, se sono ciclopedonali, se uniscono punti di interesse o sono sperse in periferia. Sono rimasta molto colpita da Ferrara, una delle più famose città delle biciclette dove, almeno per le strade che ho percorso, mi sono ritrovata a litigarmi lo spazio con i pedoni sul marciapiede. È passato qualche anno, spero che nel mentre la situazione sia cambiata.
Personalmente sono contraria alle piste ciclabili e non solo perché realizzate male e inutili, ma perché in città non dovrebbero proprio essere necessarie. In città bisognerebbe applicare la moderazione del traffico (limite 30 km/h, trasporto privato limitato in favore di quello pubblico) e non dovrebbe essere necessario limitare le bici in uno spazio a sé in nome della sicurezza.
Concepisco il concetto di piste ciclabili come superstrade che uniscono città diverse, ne esistono diversi esempi in Europa (Danimarca, Germania, Inghilterra, Olanda), ma gli spazi urbani dovrebbero essere per le persone e non corridoi dove fare correre le auto.
Comprendo la paura delle persone e capisco che c’è chi sente l’esigenza di avere piste ciclabili dove pedalare, ma sono dell’idea che dovrebbe essere una fase intermedia e non lo scopo finale.
Città amiche delle bici non sono città piene di piste ciclabili, ma luoghi dove bici e in generale utenti deboli della strada, si sentano al sicuro spostandosi.
Serve un lavoro di concerto ampissimo, ma purtroppo lo Stato stesso non ha interesse, non a caso siamo all’ennesimo bonus per cambiare la macchina.Quando si investirà veramente nella sicurezza stradale ed in un modo di vivere più sostenibile?