Mi sono letta i due dossier di Legambiente sull’economia della bicicletta in Italia, quello dell’anno scorso e quello di quest’anno.
In realtà da quest’anno, con la presentazione del rapporto, si è ufficializzata Legambici, associazione nazionale spin off di Legambiente che ha come scopo la promozione della ciclabilità e più in generale la mobilità attiva.
Perché me li sono letti? Volevo capire che cos’è il PIB, il Prodotto Interno Bici.
La prima volta che ho letto questa sigla pensavo fosse un errore di battitura, ed invece.
Andiamo con ordine e partiamo dalla cosa che mi è piaciuta di più.
Il Prodotto Interno Bici in Italia è di oltre 6 miliardi di euro, calcolato per difetto visto che per alcune zone non vi sono fonti certe.
Ma, a parte i numeri, è interessante vedere cosa comprende.
Ovviamente questa cifra comprende il mercato bici: produzione, vendita e riparazione di biciclette; produzione e vendita di accessori e abbigliamento.
Ma comprende anche: cicloturismo, risparmio di carburante, benefici sanitari, benefici per la salute dei bambini, benefici derivanti dalla riduzione dell’assenteismo, riduzioni costi ambientali emissioni gas serra, riduzione costi sociali emissioni gas serra, miglioramento della qualità dell’aria, contenimento dell’impatto del rumore, contenimento costi infrastrutture e artificializzazione territorio.
Dentro questi numeri c’è tutto, dalla bici in sé con il suo valore di mercato alla qualità della nostra stessa vita.
I due rapporti sono molto simili, soprattutto nei numeri visto che fanno riferimento sempre al 2015: quello del 2017 punta molto sulla realizzazione di infrastrutture ciclabili fatte bene, e quello di quest’anno sull’enorme potenziale di crescita della bicicletta, con conseguente aumento dei posti di lavoro e della valorizzazione del nostro territorio.

C’è un però a tutto questo: chi non pedala non lo convinci così.
Chi si muove solo con il proprio mezzo privato non lo lascia perché le stime di crescita sono positive*.
Tra l’altro mentre leggevo la comparazione tra le varie regioni mi chiedevo Come controbattere chi ti risponde Genova non è Ferrara?, ad esempio. Le città definite a ottimi livelli* sono Bolzano, Ferrara, Treviso, Pesaro, Reggio Emilia: geograficamente migliori di molte altre città, infrastrutture migliori, cultura della bicicletta differente.
Geograficamente parlando, si può veramente paragonare una regione come la Sardegna ad una come il Veneto? La Sicilia si può paragonare alla Lombardia o all’Emilia Romagna?
No, non si può. Le geografie dei territori fanno molto, lo si vede naturalmente dove la bici è più diffusa e dove meno.
E dire ci sono le ebike non è la soluzione: per carità ci sono, ma costano e non sono accessibili per tutti, non come una bici tradizionale che si può trovare anche a poco.
Quindi a cosa servono questi dossier, perché spendono tempo e risorse nel redigere questi documenti?
Per dimostrare che un altro modo di spostarsi esiste, ed ha tanti vantaggi, e per spiegare che trasformare le nostre città è un’esigenza di tutti, non solo di chi è ciclista urbano o cicloturista, per la salute di tutti.
Aumentare il livello di ciclisti in una città significa migliorare la sicurezza stradale, ridare spazio ai cittadini, migliorare il trasporto pubblico, aumentare il valore economico della città.
Quando leggi che
nelle città italiane la lunghezza media dello spostamento è di 4,2 km, che il 27,6% degli spostamenti è inferiore ai 2 km
capisci anche che spostarsi, in un modo diverso dal mezzo privato come auto o moto, è necessario ma soprattutto possibile.
Di recente ho letto moltissime polemiche per alcuni cambiamenti urbani a Torino. Parto dal presupposto, e senza mezzi termini, che abbiano fatto un casino: hanno variato il piano strade senza implementare il trasporto pubblico. Quello che però mi ha colpito è che nessuno di coloro che si lamentava ha pensato effettivamente di cambiare il proprio modo di spostarsi, tra l’altro partendo da presupposti anche sbagliati. (Sono considerazioni personali, non ho letto tutto e non ho studiato per filo e per segno il piano urbanistico torinese).

Una città più sicura è una città con più bici, le strade diventano sicure se siamo di più a pedalare.
Le persone continuano ad affermare, sedute nelle proprie auto o sui propri scooter, che non vanno in bici perché è pericoloso senza rendersi conto che se veramente lo facessero il problema sicurezza si ridurrebbe notevolmente, se non addirittura si risolverebbe.
L’altro falso mito è che ci si impiega più tempo a spostarsi in bicicletta, quando è dimostrato, numeri alla mano, che non è così.
Ho divagato un po’, l’argomento è ampio e merita più punti di vista. Quello che intendo con questo discorso è che oggettivamente ci sono differenze tra le varie regione e città d’Italia, ma quello che non cambia è diffondere l’idea di un altro modo di spostarsi, che dia qualità alla nostra vita e alle nostre città. La bicicletta si è fatta bandiera di questo pensiero, portavoce della mobilità sostenibile intesa anche come trasporto pubblico e muoversi a piedi.
Non so come si convince chi ha sempre girato con la propria auto, io mi sono convinta da sola perché mi sono innamorata della bicicletta.
È sempre più evidente che le amministrazioni hanno il loro ruolo fondamentale nel diffondere questa cultura e nell’attuare politiche concrete e di qualità in questa direzione. D’altro canto il cittadino dovrebbe aver voglia di vivere città diverse non congestionate dal traffico, dal rumore e dall’inquinamento.
Se poi ci mettiamo anche che tutto questo genera economia, lavoro, e quindi soldi, forse che forse dovremmo valutare meglio le nostre scelte di mobilità attiva.
*Per approfondire:
- L’A Bi Ci – 2° Rapporto Legambici sull’economia della bici in Italia
- L’A Bi Ci – 1° Rapporto sull’economia della Bici in Italia e sulla Ciclabilità nelle Città
(Le immagini di questo post sono tratte dal dossier 2018)