Ho provato a scrivere un articolo dove raccontavo che vivere senza auto e moto si può fare, si può scegliere di spostarsi in modo più consapevole. Scrivevo: cambiare è una scelta personale, decidere di non farlo è una scelta collettiva. E mentre portavo degli esempi concreti di come poter attuare questo cambio di Vita mi sono resa conto che parlavo a chi vuole ascoltare e cambiare, a chi è onestə e non parcheggia l’auto in dodicesima fila fregandosene della comunità, mi sono resa conto che parlavo praticamente da sola.
Ad oggi non avere un mezzo privato è vista come una scelta passiva: non una scelta attiva dove decido di non contribuire a città inquinate, rumorose e intasate, ma la conseguenza di non avere i soldi per comprarmi una macchina o uno scooter. In sintesi per la maggior parte delle persone se sei come me, ossia hai solo la bici come mezzo di trasporto, sei povera. E se proprio non hai addosso l’etichetta da povera hai quella di stramba, di hippy, di alternativa. In più, nel mio caso, c’è anche l’etichetta del ma tu non hai figli cosa ne vuoi sapere.
Sembra sempre che le persone salvino Vite continuamente: improvvisamente operano tutte d’urgenza e se non si spostano nel minor tempo possibile non va bene. Quando chiedi perché, quando fai riflettere veramente sul senso del perché correre, vivere così affannosamente, non ci sono mai risposte sensate, non esistono.
Ora va molto di moda sui giornali parlare di chi ha deciso di lasciare il lavoro: durante questi ultimi due anni sono tante le persone che si sono rese conto che c’era qualcosa che non andava nel loro stile di Vita. Il senso di lavorare dodici ore al giorno per pochi soldi improvvisamente non è chiaro. Moltз hanno compreso che non ha senso vivere per lavorare, vivere per correre, per non godersi le proprie famiglie, figlie e figli. C’è voluta una pandemia.
Quando ho cambiato lavoro anni fa e tra le mie motivazioni c’era anche avere uno stile di Vita sano, bilanciato, perché non è normale entrare in laboratorio con il buio al mattino e uscirne con il buio la sera sono stata tacciata di non aver voglia di lavorare. Se dico di spostarmi solo in bici, sono quella che ha tempo da perdere (vale a poco portare dati statistici ufficiali dove è ormai assodato che entro i 6 km, in città, l’auto non è il mezzo più veloce). Se dico che città più a misura di bicicletta sono città più a misura di persona, sono quella idealista e comunque sia va bene per altre città non per Genova. Se mi trovassi a Bologna andrebbe bene per tutte le città tranne che per Bologna e così per ogni città d’Italia.

Volevo scrivere un articolo sul fatto che si può vivere senza mezzo privato o, se proprio non se la si sente di rinunciare del tutto, si può provare ad essere più consapevoli dell’uso che facciamo dei nostri mezzi a motore, per motivi di inquinamento ma non solo.
Ho visto genitori andare oltre limiti di strade chiuse al traffico per portare la/il figlia/o davanti al portone della scuola, quando quella strada era chiusa per garantire l’incolumità di tutte le studentesse e di tutti gli studenti durante l’ingresso a scuola.
Scegliere di usare altri mezzi e di limitare quelli privati vuol dire costruire comunità diverse.
Stavo scrivendo tutto questo, ma non so se ho voglia di essere tacciata ancora una volta di idealismo, di sentirmi dire che non posso capire.
Ho avuto il motorino a 14 anni, la patente l’ho presa a 18. Non ho mai avuto un’auto mia ma usavo quella di mia madre. Dico sempre che la mia più grande fortuna è aver seguito il mio istinto ed essermi andata a comprare una bicicletta.
I miei genitori sono figli del dopoguerra e le loro idee sono frutto della loro epoca. Ma adesso che scusa abbiamo per continuare a seguire modelli di Vita che di Vita hanno bene poco e status symbol a quattro o due ruote di cui possiamo fare a meno per la maggior parte dei nostri spostamenti?
Non servono scelte drastiche, questo articolo, a partire dal titolo, è volutamente provocatorio, vuole far riflettere non solo su una scelta economica ed ecologica, ma anche dal forte impatto personale.
Non dobbiamo tuttз diventare ciclistз urbani, non dobbiamo tuttз rinunciare alle nostro comodità, ma sicuramente dovremmo ricordarci che facciamo parte di una collettività e che le nostre scelte personali non sono solo nostre.
La Ciclista Ignorante è un progetto che ambisce a diffondere e condividere un nuovo stile di Vita, basato sull’etica, la trasparenza, la contaminazione di idee, un progetto in cui la bicicletta è sempre stato un mezzo e mai il fine. Lo scopo del Blog e di tutto l’universo connesso è incoraggiare le persone che inciampano nei miei contenuti, con uno sguardo attento a chi si sente più fragile, discriminatə, indifesə, impauritə.
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Ah che bell’articolo, grazie Adriana!
Se ti consola noi, con una bambina di 10 mesi, speriamo di abbandonare presto la nostra vecchia Panda.
Viviamo in un paesino di montagna ma non troppo distante dalla città e dove ogni famiglia ha 1 auto per persona maggiorenne. È un posto fantastico dove i bambini potrebbero andare in giro da soli dappertutto… e dove i genitori non si fidano di lasciarli uscire per via degli incidenti stradali. Sulla strada che ci collega alla città ce n’è uno serio a settimana eppure non si riesce ad immaginare una soluzione diversa.
Grazie per i tuoi articoli. Te ne lascio uno mio sul tema degli incidenti stradali. Se ne parla poco poiché gli aspetti ambientale e logistico dell’automobile sono troppo ingombranti, eppure è assurdo che lo si accetti senza parlarne. Spero possa piacerti: https://saltomentale.it/guida-sportiva-per-pirla-qualunque/
Ciao!
Grazie… hai descritto perfettamente il paradosso del “non vado in bici perché ci sono troppe auto” senza voler capire che siamo noi il traffico e lo cambiano scegliendo un altro modo di spostarci. Leggerò l’articolo. Grazie mille e scusa i tempi di risposta con il trasloco a Sarzana da queste parti è delirio ?